Il mito di New York nasceva già nel 1661 quando si chiamava ancora Nuova
Amsterdam. Venne celebrata dal suo primo poeta, Jacob Steendam, come sede di un
benessere naturalmente aureo: un enorme giardino stretto fra due fiumi che si
riversano nel mare, ricco di pesce oltre ogni misura, di latte, di burro, di frutta
e del frumento migliore.
Walt Whitman,
giungendovi nel 1841, le dedicò alcune fra le sue più belle poesie cantandone,
con un curioso spirito di osservazione, la vivacità frenetica, il movimento
inarrestabile di persone e di cose come farà, cento anni più tardi, Frank O’Hara.
Anche nella poesia di Allen Ginsberg, il maggiore poeta della Beat Generation,
ritorna la New York caotica fatta di bidoni, di scale antincendio, di vetri
rotti, di gente di colore e di ispanici accompagnata, però, da un morboso
desiderio di poesia, unico possesso di un mondo minacciato perennemente dalla
perdita di sé e degli altri, dai crimini e dall'angoscia.
New
York non è una città per turisti ma una tragedia o, secondo Robert Lowell,
un melodramma. Derek
Walcott ha descritto
l'attraversamento di tutta la città come una sorta di viaggio iniziatico: un
viaggio agli Inferi, nella morte. Si parte dal Greenwich Village (il quartiere
che si identifica con l'Arte e con la Poesia), a ovest di Broadway percorrendo,
di stazione in stazione, immagini di sconsolata solitudine.
La tua immagine sferragliata sul vetro
della metropolitana
E
la mia stessa maschera mortuaria in costume,
Sotto
New York il convoglio sommerso
Delle
anime umane, chiuse in una cella di ferro,
Di
fermata in fermata intimidite con calma incerta,
Tuona
verso il suo fine, ognuno nel suo inferno privato.
Quando
a Queens il treno riemerge, la conquista della luce non serve a confermare quel
sentimento di dissoluzione. Manhattan, di lontano, sembra un cimitero. I suoi
grattacieli si rivelano, in un'ennesima metamorfosi, tante croci. Divisa fra
sprofondamento e sublimazione New York è una città che ispira i poeti e, allo stesso
tempo, li uccide. È una specie di luogo nato non per sopprimere la
natura ma per sostituirla, parodiarla, emularla. È un luogo in cui tutto torna,
come nei versi di Simon J. Ortiz, il poeta più riconosciuto
della indian renaissance.
La fame ti striscia dentro
Da
un punto fuori dei muscoli
O
dal cemento o dal terreno
O
dal vento che ti spinge.
Ti
viene addosso chiedendo
Cibo,
parole, saggezza, ricordi giovanili
Di
posti in cui hai mangiato, bevuto acqua fresca di sorgente.
New
York, città-simbolo dell'intera nazione americana sulla quale i poeti americani
lanciano il loro sguardo cinico e angosciato, senza mai nascondere la loro
ansia di bellezza e di speranza.
Francesca Rita Rombolà
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