Gli occhi del mondo sono stati puntati
sugli Stati Uniti negli ultimi giorni. Le
elezioni americane, infatti, non
costituiscono soltanto una questione di politica interna allo Stato americano
ma influenzeranno in maniera
decisiva la politica internazionale dei
prossimi anni. In particolare, le domande più incessanti riguardano la reazione
di Trump alla questione in Medio Oriente.
In Siria la tregua di due settimane è
stata sospesa lo scorso martedì, quando una portaerei russa, la Admiral
Kuznetsov, ferma nel Mediterraneo vicino a Cipro, ha sganciato missili ai danni
delle province di Homs e Idib per colpire gli estremisti presenti in
quell’area. Mercoledì raid aerei russi
hanno distrutto un ospedale pediatrico ad Aleppo uccidendo cinque bambini
ed un medico volontario. Anche una banca del sangue ed alcune ambulanze
risultano pesantemente danneggiate. La furia della guerra non accenna ad
esaurirsi e le vittime di questo massacro
che l’ONU stessa ha definito di
“proporzioni storiche” sono per lo più civili disarmati.
La portavoce del
Dipartimento di Stato americano, Elizabeth Trudeau, ha condannato pesantemente la
ripresa degli attacchi aerei accusando la Russia di appoggiare la Siria “in una
crudele guerra contro gli stessi cittadini siriani”. Secondo la tv araba “Al
Jazeera” la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti starebbe addirittura
valutando la possibilità di applicare nuove sanzioni alla Siria.
Ma
quale sarà la posizione di Trump in questo conflitto? Quali saranno i rapporti degli Stati
Uniti con la Russia? Attualmente gli
Stati Uniti stanno combattendo una guerra su due fronti: da una parte
contro l’ISIS e dall’altra a sostegno dei ribelli curdo-siriani contro il
regime di Assad. La lotta all’ISIS accomuna Russia e USA, divisi però sulla
questione siriana: la Russia appoggia Assad mentre gli USA lo combattono
rifornendo e sostenendo i gruppi ribelli. Già nella campagna elettorale, Donald
Trump aveva criticato fortemente questo atteggiamento assunto dal governo
americano, sostenendo che non è possibile condurre due guerre parallele e in
contrasto tra loro. “Noi non abbiamo idea di chi siano queste persone,” ha
detto riferendosi ai ribelli anti-governativi. Gli USA, secondo Trump,
dovrebbero concentrarsi piuttosto nella guerra contro il loro vero grande
nemico: l’ISIS. Questa logica, riassunta dal New York Times nella massima “il
nemico del mio nemico è anche mio amico”, potrebbe condurre nei prossimi mesi
ad un riavvicinamento degli Stati Uniti
alla Russia e ad un allineamento con la sua politica militare. Di
conseguenza, non sarebbe impossibile un’intesa con la Siria e l’Iran. “Io non
dico che Assad è un uomo buono, anzi, non lo è affatto,” ha spiegato in
un’intervista concessa lo scorso marzo al New York Times, “ma il nostro grande problema è l’ISIS, non
Assad”.
E proprio Assad, in un’intervista
rilasciata lunedì alla tv nazionale portoghese, si è mostrato piuttosto
disponibile ad intessere un legame con gli Stati Uniti, pur conservando una
certa cautela. “Non possiamo ancora dire cosa farà il nuovo presidente. Se ha
intenzione di combattere il terrorismo, certamente potremo essere alleati, anzi
alleati naturali come con la Russia, l’Iran e altri Paesi”. Ma la sua opinione
resta scettica al momento, data l’instabilità che pare caratterizzare il suo insediamento
alla Casa Bianca. “Come gestirà le forze divergenti all’interno della sua amministrazione?
Come si comporterà verso i media che si sono scagliati contro di lui? Riuscirà
a fronteggiare tutto questo? Questo è il motivo per cui resto cauto nel
giudicarlo”. In ogni caso, Assad non ha perso occasione per commentare
l’attuale politica americana in Siria. “Credono di essere i poliziotti del
mondo, credono di essere i giudici del mondo, ma non lo sono”.
Insomma, la diatriba non si concluderà a breve e le bombe continueranno
inesorabilmente a cadere sull’arido deserto siriano. Altri bambini moriranno
prima che si riesca a raggiungere un’intesa che possa risolvere uno dei
conflitti più cruenti della storia. L’Osservatorio siriano per i diritti umani
stima che dal marzo 2011, data d’inizio delle ostilità, sono morti circa
300.000 civili.
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